”Solo dopo aver conosciuto la superficie delle cose […] ci si può spingere a cercare quel che c'è sotto. Ma la superficie delle cose è inesauribile.
Italo Calvino, Palomar, 1983
Leggendo come gli arabi un alfabeto sinistroverso, la costa della Liguria inizia a Punta Bianca dove un’appendice candida delle Alpi Apuane scende sottomarina per donarci uno spettacolo marmoreo che dura un attimo. Risalendo poi il Promontorio del Caprione, il golfo della Spezia è uno squarcio orizzontale tra Lerici e Portovenere; da qui, seguendo una direttrice diagonale a nord ovest, una successione a fasce di rocce calcaree di tutte le tinte, rosse, gialle o nere nel caso del Portoro.
Tre isole, tre punti decrescenti verso il mare aperto: una sospensione.
Tramonti, incontaminati.
Dopo: le Cinque Terre.
A contrasto con l’arenaria grigia sulla quale poggiano, il macigno delle Cinque Terre, i borghi cinqueterrini ci regalano la vista di un gruppo di insediamenti divenuti marini, e di conseguenza turistici, solo a metà del secolo scorso: le case, che seguono la ruvida e accidentata morfologia del territorio, sottolineano fin troppo esplicitamente le loro affinità terrestri più che liquide. Dopo l’anno 1000 chi ha scelto di abitare questi luoghi ha edificato con il territorio un rapporto obbligato, non solo per quanto riguarda l’assetto urbano, bensì per le colture a vite e olivo, necessarie per la sussistenza e rese possibili attraverso un lavoro antropico che ha trasformato i ripidi pendii in terrazzi coltivabili. Un patto millenario tra uomo e ambiente.
L’equilibrio verticale col passare del tempo si fa sempre più fragile: usi e costumi umani evolvono con le generazioni; il territorio, immobile sotto sforzo degli afflussi turistici del nuovo millennio, invecchia soltanto.
Monterosso, per chi viene dal capoluogo, “l’ultima”: il Promontorio del Mesco, con la testa tra gli abissi, dorme come un rettile del Giurassico, verde di serpentino e di superba bellezza. Con gli occhi fissi al sonno della lucertola terribile, timorosi di un suo ridestare, passiamo la baia di Levanto, dove il mare sembra arrivato prima: tutto sembra un po’ quietarsi; a Bonassola è tutto un luccichio di gabbri sotto il sole; superiamo Punta dei Marmi ed è qua che Odisseo si ferma per un po’.
Possiamo immaginare così il milanese Vico Magistretti, in esplorazione lungo il litorale spezzino, tra quello che negli anni ’90 diverrà il suo buen retiro a La Serra di Lerici e Framura.
Magistretti, che considerava la costa ligure come un fuori porta di Milano-Industria, nel 1963 progetta le Case Rosse a Framura, in località Vandarecca. Il complesso residenziale è raggiungibile tramite una deviazione della strada al cardiopalma che da Costa scende vertiginosamente alla stazione ferroviaria e che tocca tutte le frazioni del Comune; le residenze si sviluppano saldamente alla scogliera a una quota compresa tra i 50 e 120 metri sul livello del mare. Lo sguardo umano e quello lineare dell’orizzonte, invece, sono gemellati alla stessa altitudine.
Tutti gli appartamenti sono identici, sia nel complesso a monte che in quello balneare, progettati aggregando tre moduli spaziali a forma di “L”, ciascuno di 5 x 5 x 3,3 m; questa peculiarità non solo inscrive il progetto nel campo dell’edilizia popolare bensì prevede una visione esistenziale, dove tutti gli esseri umani sono esuli da gerarchie.
La questione democratica introduce le affinità con il paesaggio delle Cinque Terre. Framura è un prolungamento delle Cinque Terre non solo in termini geodetici.
“In questo progetto, le case non sono separate […] – sono piccole villette con un cortile – ma il tutto è concentrato in un unico volume. Dal mare, si vede sulla montagna un insieme di case e di vuoti, senza quelle orrende casette isolate che hanno rovinato la costa ligure“.
E ancora: “I villaggi delle Cinque Terre ci danno un grande insegnamento: quando li osservi non ti viene nemmeno in mente di esprimere un giudizio architettonico; il nucleo abitativo [ndr] è un organismo pre-architettonico, dove l’architettura ha meno importanza in quanto si tratta di un edificio popolare. Il fatto architettonico è costituito semplicemente da blocchi, volumi incastrati uno vicino all’altro“.
Con queste parole Magistretti radica la scelta progettuale delle Case Rosse alla storia e cultura del luogo: su modello dei borghi delle Cinque Terre, il progetto identifica un intervento nel paesaggio piuttosto che un’operazione di mera architettura.
“Si tratta di due insiemi di case, quasi a formare due piccoli borghi; il versante molto scosceso determina un’edificazione che cerca di sfruttare il più possibile una medesima quota ma origina, allo stesso tempo, tra le case sottostanti e le superiori, una serie di spazi intimi di circolazione. Ogni appartamento ricerca una sua privacy da ottenere pur nella ristrettezza degli spazi, a volte, anche solo escludendo ogni possibile introspezione“.
Attraverso queste istanze, il progetto si fa interprete di un modello sociale di convivenza tra individui, caratterizzati dall’esigenza di bisogni e un vivere comuni in uno spazio impervio ma mite e, soprattutto, conquistato con fatica. Questo asserragliarsi è difendersi, dalle incursioni piratesche, che perdurano per tutto il Medioevo e oltre, dal mare stesso, dalla sua furia. Stare insieme, vicini, è farsi forza l’uno con l’altro; chiudersi a fortezza, usando un’espressione di Giovanni Giudici, ed è cosi che Magistretti considera il progetto delle Case Rosse: una fortezza, una casa a tutela dell’altra.
La minaccia di un pericolo costante è sottolineata dalla presenza di fortificazioni difensive sulle coste limitrofe, erette durante il IX secolo e volute dagli antichi signori Da Passano di Deiva Marina.
Sulla scelta della tinteggiatura, Magistretti non sa dare una motivazione precisa, limitandosi ad esprimere un giudizio estetico dal sapore kantiano: “Poi le ho fatte dipingere di un particolare colore rosso, stanno bene”, e in opposizione, parafrasando Hegel: “In qualche modo i colori devono legare alla storia“.
Nonostante il colore rosso sia una costante della sua opera, nei disegni e negli schizzi per evidenziare un concetto o forma, nei suoi arredi più famosi, nei dettagli architettonici, fino all’ostensione su se stesso per mezzo delle calze, è lecito pensare che il progetto di Framura non abbia a che fare con i celeberrimi casi di “Rosso Vico” bensì con un tema altrettanto caro alla sua ricerca: il rapporto tra l’espansione edilizia e rispetto del paesaggio.
Scendiamo di quota e proviamo ad approfondire.
Collegati alle Case Rosse tramite una crêuza di deandreiana memoria, che scia ripida il pendio, passando in una folta macchia di lentisco, cuscini di mirto, all’ombra di pini e lecci, ruderi di vecchi edifici, a testimonianza di un antico sfruttamento estrattivo, segnalano la presenza di una cava di Rosso Levanto dismessa da secoli, quasi invisibile per la fitta vegetazione che ha fatto del sito una sua facile preda. Nella tradizione il giacimento fu sfruttato dai tempi degli Etruschi, come testimonierebbero alcuni manufatti funerari realizzati con questo marmo, ritrovati in una necropoli dell’Italia Centrale; nell’epoca moderna la cava potrebbe essere una di quelle richieste in concessione nel 1610 sotto Montaretto, dalla quale proverrebbero le colonne impiegate in alcune chiese liguri, un esempio sopra tutti, la Cattedrale di San Lorenzo a Genova: da qui Cava delle Colonne. Siamo a Punta Colonna o meglio conosciuta come Punta dei Marmi. Siamo a livello del mare.
Nell’intervista con Hans Ulrich Obrist, Magistretti racconta come nel progetto originale (poi accantonato) della Torre al Parco in via Revere a Milano, la tinteggiatura dovesse corrispondere al marrone del tronco degli alberi del Parco Sempione a riprova della sua attenzione alla mimesi ambientale.
Immaginando Odisseo a bordo della sua Argo, in esplorazione del Levante Ligure, non deve essere stata una visione da poco arrivare a Punta dei Marmi: la pietra, rossa del vino nei baccanali, riveste le pareti della baia stessa, l’antico sito di estrazione; gli scogli che la costituiscono sono gli scarti di secoli di lavorazione che, difatti, virano più su una tonalità verdastra che rossa, essendo composti prevalentemente da serpentino: la parte migliore è stata impiegata, nelle chiese italiane, da Genova a Firenze, oltreoceano, dall’Empire State Building al Senato di Washington.
Prismi abbandonati e ossidati dal tempo campeggiano come personaggi muti; angoli perfetti ritagliati nella montagna identificano balconi tra la macchia mediterranea e piattaforme sul mare, dando luogo a un teatro tra il naturale e il surreale.
Vulnerabile e sensibile dinnanzi a tanto fascino, Odisseo, libero com’è sempre stato dal favo negli orecchi, si lascia sussurrare il colore rosso e da cava si fa casa.
Le Case Rosse fanno sintesi del territorio; l’assonanza col palcoscenico di Punta dei Marmi non è rinvenibile soltanto nel colore che dalla pietra è trasferito all’edificio, bensì negli aspetti morfologici: le forme del progetto di Magistretti, delle case stesse ancorate alla scogliera, rimandano ai gradoni residui dall’estrazione, dei balconi a sbalzo ai blocchi abbandonati sul terrapieno, che a loro volta rimano con le finestre, dove le proiezioni d’ardesia rendono solido un blocco estruso dello sguardo e, ancora, dei fori a sezione quadrata a decorazione dei parapetti.
Questo gioco di pieni e vuoti, fisici e metafisici, volumi positivi e negativi, è pensato e realizzato in simbiosi con l’ambiente, immerso in una lussureggiante vegetazione che sembra stia per riportare, da un momento all’altro, le residenze a uno stadio selvaggio, primordiale, così come il tempo e la natura si sono riappropriati di Cava delle Colonne.
Oggi Punta dei Marmi è un luogo che ha cambiato destinazione: come le Cinque Terre da terrestre a marino, ma a differenza di esse è protagonista di un’involuzione che l’ha riassurto allo stadio delle origini; favorito anche dalla messa in funzione, nel 2011, della Ciclopedonale Maremonti che unisce Levanto a Framura attraverso la vecchia ferrovia a binario unico abbandonata nel 1970, è meta di un turismo balneare libero, umano e solitario.
Quasi zenitalmente, sulle alture tra Framura e Bonassola, a Montaretto, piccolo villaggio fino al secolo scorso legato all’attività estrattiva e mineraria, esiste ancora una cava attiva di marmo Rosso Levanto, declinata nelle sue varianti principali Breccia di Levanto, di Framura e Verde di Levanto, a seconda della granulometria e dal contenuto in percentuale di ematite, serpentino e calcite.
Odisseo Magistretti, dice di non essere più tornato a vedere le Case Rosse ma, a quarant’anni di distanza, ricorda Framura come un’ante-Cinque Terre e, ancora, la prima delle Cinque Terre.
In questo viaggio Framura è la nostra Itaca: le Case Rosse una sintesi del paese Cinque Terre in connubio con un territorio che dà materie prime e vitali e Framura, la prima, una prima materia, un’anticipazione di un mondo e un modello a cui tornare per salvarsi dall’oblio.
BIBLIOGRAFIA
AA. VV., Le Cinque Terre viste dalla Luna – Conversazioni con Vico Magistretti, Ippolito Pizzetti, Franco Cordelli, Società Editrice Buonaparte, 2005
AA. VV., Vico Magistretti. Architetto milanese, Electa, 2021
Hans Ulrich Obrist, Interview 01: Vico Magistretti, in Domus 866, gennaio 2004
Roberto Andreotti e Federico De Melis, Magistretti in riviera, in Alias 41, 21 ottobre 2006
Andrea Savio, Case Rosse a Framura, Jaca Book, 2 Dicembre 2021
WEBLIOGRAFIA
https://archivio.vicomagistretti.it/
https://censimentoarchitetturecontemporanee.cultura.gov.it/
https://www.archeominosapiens.it/